Scuole e Maestri

Eccoci qui,

ai tempi del Corona Virus, finalmente a respirare un poco sarà l’ambiente ed il mio piccolo blog! Già pensavo a tutti gli articoli da inserire, quando ecco che il Covid mi miete la prima vittima illustre … e chi è? Un architetto!
Non esattamente un architetto, o meglio non solo, più che altro un pezzo della storia dell’architettura del Novecento, uno di quei nomi che riecheggiano nei corridoio dell’università tra ammirazione e timore reverenziale.

Vittorio Gregotti, per chi non lo conoscesse, architetto ed urbanista, esponente illustre ed ultranovantenne del Razionalismo italiano. Laureato prima e docente poi al Politecnico di Milano così come in molte altre università, a me Gregotti, sarò sincera, non è mai piaciuto. Non vi so dire esattamente il perché, probabilmente per ignoranza o per semplice ribellione verso “i padri”. Vi ho già parlato del fatto che per quanto riguarda gli studi di architettura, la scelta dell’università e della facoltà sia determinante. La tua formazione sarà completamente plasmata dal pensiero di composizione architettonica che andrai ad apprendere da determinate scuole e, molto spesso, quando scegli non ne sei consapevole. Il mio primo anno di architettura l’ho passato nella disperazione più totale, maledicendo le ore di matematica, costruzioni e disegno, rimpiangendo di non aver “semplicemente” studiato storia dell’arte o filosofia. Poi pian piano ho capito che l’amore c’era, bastava solo aver pazienza di apprendere le basi e mettersi a cercare.

Il mio interesse fin da subito si è allontanato dalla “mia” scuola, quella scelta, così tecnica, così razionale, rappresentata soltanto da sequenze di cubi che diventavano prima scale ed appartamenti, poi bagni, camere da letto, soggiorni e disimpegni. Sopra a tutto ho sempre odiato la parola disimpegno! L’odio per i disimpegni mi ha portato verso un’architettura più fluida, più libera, più dialogante con la natura e di open space. La mia ammirazione si è subito rivolta a Mies van der Rohe, alla scuola scandinava e giapponese (così simili in fondo e così pure), a Frank Llyod Wright (che a loro si ispira) ed ho deciso di coltivare il culto per un solo dio di nome Carlo Scarpa. Così ho cominciato a frequentare le lezione di quei docenti più “internazionali” e freaky, evitando accuratamente tutti i caseggiati a più piani e le facciate composte da fori quadrati in sequenza. Lo so, non si rinnega la propria storia, e lo so che Figini, Pollini, Terragni, Libera, Portaluppi, Gio’ Ponti rappresentano le basi, ma soprattutto l’internazionalizzazione della nostra piccola Italia per carità … ma cercate di capirmi … sono stata costretta a ridisegnare gli esecutivi al 25 della casa a torre di Gio’ Ponti il primo semestre, quando nemmeno sapevo come fosse stratificato un muro! E’ stato uno shock! E da questo shock io mi sono allontanata evitando accuratamente le monografie di Giorgio Grassi, Aldo Rossi e Vittorio Gregotti.

Vittorio-Gregotti-Università-Milano-Bicocca-1986-99

Loro però sono rimaste lì negli anni, a guardarmi minacciose dagli scaffali della biblioteca di architettura, attendendo che il mio pensiero maturasse. Ora, con questo non voglio dire che oggigiorno tutti gli edifici di Gregotti mi facciano impazzire. Ognuno coltiva un proprio gusto, sia estetico che progettuale, che poi non viene facilmente mutato o tradito, tuttavia ho compreso l’importanza della composizione e del razionalismo. Ho capito il valore di quell’architettura trovandomici davanti, come spesso succede con i prodotti dei grandi architetti. Conoscete Le Corbusier? Se ne cercherete delle immagini ora su google sicuramente vi appariranno una miriade di progetti futuristici, se pensiamo a quando sono stati realizzati, e tra questi l’Unitè d’Habitation. Io ho sempre considerato bruttissimi quei complessi e ringraziato che il suo piano per la grande Parigi non sia mai andato in porto, tuttavia, una volta visitata l’Unitè d’Habitation di Berlino mi sono ricreduta! La testimonianza la troverete in un vecchio articolo proprio del blog. Bene, nonostante tutto, l’edificio è proporzionato ed accogliente.
Come mi sono ricreduta su Le Corbusier, l’ho dovuto fare anche su Vittorio Gregotti, che tralaltro Le Corbusier lo aveva conosciuto, negli anni ’50 ad un seminario internazionale, con anche Gropius e un anziano Van De Velde. Quando avrei voluto incontrare Van De Velde …. Ma questa è un’altra storia.

Vittorio Gregotti
Gregotti Architetti Associati, Grand Théâtre de Provence, Aix-en-Provence, 2003-2007.

9ae647d3-6730-497e-82bd-dd082b226466_ridimensionare

gettyimages-1011997076-centro-culturale-lisbona-1549755530
Gregotti Architetti Associati, Centro Culturale di Belem, Lisboona, Portogallo 

Di Gregotti io ho visto soltanto poche realizzazioni: il Teatro degli Arcimboldi e l’Università Bicocca a Milano (parte entrambi di un piano di perequazione urbanistica, allora praticamente sperimentale), il teatro lirico di Provenza ad Aix-En-Provence ed il centro culturale di Belem in Portogallo. Sono tutte strutture di grande interesse culturale, non certo ristrutturazioni di villette a schiera e sono soltanto alcune delle sue più famose creazioni, tra cui si annoverano anche il controversissimo quartiere Zen di Palermo, la GAMEC di Bergamo, l’Università della Calabria, la sede del Corriere della Sera, la sezione introduttiva della Triennale di Milano. Gregotti intervenne anche nel progetto di riqualificazione di Postdamer Platz di Berlino, con masterplan di un altro italiano, Renzo Piano, anche lui scuola Politecnico e stessi maestri (Ernesto Natan Rogers). Oltre ad essere architetto si è sempre distinto come teorico, urbanista, saggista ed intellettuale. Fu l’unico architetto a prendere parte al famoso Gruppo 63, degli amici Umberto Eco, Luciano Berio e Furio Colombo.
Fu anche caporedattore prima e direttore poi di Casabella, oltre che del settore arti visive della Biennale di Venezia. La sua mostra “A proposito del Mulino Stucky” diede avvio alla Biennale di Architettura di Venezia, istituita poi nel 1980 … insomma sapeva il fatto suo. Nei suoi scritti intervengono storici dell’architettura sui cui libri io ho studiato e che hanno commentato la composizione delle forme dall’età classica ad oggi prendendo veramente in rassegna i più grandi.

unnamed

E’ qui, rileggendo la sua storia e le sue parole in questi giorni, che mi sono resa conto di come sia giunto il momento in cui ho aperto la sua monografia, più che la sua quella del suo studio, la Gregotti associati, formato nel 1974. DOMUS scrive che è difficile considerare Vittorio Gregotti un maestro perché non ci ha lasciato allievi del suo livello, ma certo resta un modello di architetto riformatore.
Forse è vero che era molto ambizioso e che questo lo ha chiuso nel suo stile, forse lo è stato proprio per l’amore e la propensione che da sempre ha avuto verso l’architettura ed il territorio.

Quello che io apprezzo della sua storia personale è che non provenga dalla solita famiglia di costruttori e che il suo destino in qualche modo se lo sia creato. Certo la sua famiglia era di una Novara ricca e borghese e lui ebbe la possibilità di andare nel 1947 a Parigi. Lì, mentre per lui era in serbo un destino nella fabbrica tessile di famiglia, lui scelse di frequentare lo studio dei fratelli Perret, architetti-ingegneri che alle mie orecchie risuonano come i fratelli Lumiére per il cinema, e decise poi di iscriversi al Politecnico di Milano. Nulla di questo era scritto, tutto è stato una scelta, razionale e determinata come il suo stile architettonico. Penso che quello davvero mancherà di Gregotti, che invece per me è tra i grandi maestri, è la sua connessione con quelle figure mitiche dell’architettura del Novecento.
Era la rappresentazione vivente della tensione al futuro ed all’innovazione, senza per questo cadere nella trappola delle Archistar.
Questo è testimoniato dall’ultima intervista al Corriere della Sera, in cui aveva detto: “Il potere finanziario, che è l’unico che permette di fare grandi cose in architettura, è globale e vuole progetti globali, che vadano bene in ogni parte del mondo, mentre all’architetto ormai si chiede solo di meravigliare, di creare un’immagine la più possibile originale, allontanandoci dalla nostra storia, dalle nostre radici. Ai giovani vorrei insegnare a non essere così, a non avere con i fondamenti dell’architettura un rapporto istintivo, a studiare, a utilizzare bene tutti gli strumenti che oggi hanno a disposizione”.

ea3315d49494c47823a850a9c3c29d4e

Ho sempre concepito l’architettura come un prodotto collettivo.

A me queste frasi hanno commosso e qui ho ritrovato la mia scuola. Forse dopo tanto vagare comunque qualcosa è passato, qualcosa in me è rimasto di questo modo di leggere il territorio e la città. Perciò grazie Vittorio, che il tuo amato territorio ora ti sia lieve.

Enjoy

F.T.

vittorio-gregotti-1975-italian-architect-obituary-coronavirus-sq

Lascia un commento