Cambio dell’armadio

Eccoci qui!

Non ancora al passaggio autunnale, ma con il clima già decisamente mutato! Cercando di organizzare quella migrazione di massa che comprende lo spostamento degli abiti estivi per fare spazio a lana e cappotti, realizzo ogni volta di quanto io davvero non abbia bisogno di qualsiasi forma di shopping. Tuttavia io amo i vestiti, non tanto la moda, io adoro le cose belle e tra queste non si possono escludere alcuni capi di abbigliamento.

In realtà non voglio parlare del mio guardaroba, per la fortuna di tutti, ma di come la sartoria sia legata alla geometria ed alle forme. Ogni volta che osservo un vestito ora, mi torna in mente la mia professoressa di Costume teatrale, che mi disse che lei scelse la strada del costume perchè amava l’architettura.
Questo non è vero soltanto perchè molti stilisti sono architetti (una vota era molto meno specifica la distinzione tra le diverse forme di design), Ferrè ad esempio; e viceversa, oggi, molti architetti nel loro delirio di onnipotenza disegnano anche vestiti e scarpe (Zaha Hadid, chi altro, che così eleva il consolidato diverbio tra architetti ed architette), ma perchè la creazione di un abito, il suo taglio, il suo disegno appunto, molto hanno a che fare con la geometria.

Da architetto, una volta arrivata in Accademia, ho scoperto, oltre alla scenografia, il costume teatrale e con esso i grandi maestri che lo hanno forgiato con le loro creazioni. Da Mariano Fortuny a Roberto Capucci o Danilo Donati, non si può non osservare quanto la costruzione architettonica sia coinvolta nel processo artistico da loro portato avanti. Negli ultimi giorni ho provato a documentarmi un pochino sul rapporto tra architettura e moda, ampiamente trattato su web e di cui ho sempre parlato con una mia cara amica che, dopo l’università, si è dedicata agli allestimenti di negozi di alta moda. Quello che emerge è la stretta correlazione tra due arti applicate che, in realtà, si sono spesso fuse tra loro.

Come dicevo in precedenza, un tempo non esisteva la distinzione tra le diverse discipline artistiche e l’architetto doveva dedicarsi al disegno della città come a quello del cucchiaio. L’oggetto del vivere dell’uomo, la città su larga scala e la casa a scala minore, era pensato nella sua interezza, dal disegno esterno fino alle finiture ed ai mobili, in un tutt’uno organico. L’architetto belga Henry van de Velde disegnò addirittura i vestiti da fare indossare alla moglie all’interno della loro abitazione! Parliamo della metà del XIX secolo.
Oggi il design della moda, a mio avviso, oscilla tra l’anarchia individualista ed una strampalata omologazione, mentre il suo legame più evidente con l’architettura si palesa nella progettazione degli store di grandi marche, in cui vengono coinvolte le famose Archistar che, con il relativo compenso, potranno forse essere tra i pochi ad acquistare!

Vetrine Luis Vitton

Per quanto tutto ciò sia interessante, io lo trovo riduttivo. Quando penso ad un abito, perso al taglio, alla fattura, al materiale e questo molto ha a che vedere con l’architettura. Ditemi voi se alcuni capispalla di Paco Rabanne non richiamano, nella scelta dei materiali, i rivestimenti di Herzog e De Meuron, oppure andando indietro nel tempo, se i pepli di Fortuny non richiamino con il loro plissè e la loro forma le scanalature delle colonne classiche.
I più ferrati sull’argomento, sono, come sempre, i designers giapponesi, che sulla geometria e sulle composizioni hanno giocato parecchio.
Tra loro vi è uno stilista che ormai è un classico della moda, e che io ho cominciato a sbirciare facendo costume teatrale: Issey Miyake.

Miyake_plissè

Quell’uomo è un genio!
Perchè l’ho scoperto? Tanti pensano che il costume teatrale sia indissolubilmente legato alla moda, in realtà esso è legato alla storia della moda e, ovviamente, dovendo mostrare alcune caratteristiche specifiche del personaggio, è correlato all’osservazione della moda. Ciò non significa però che si possa prendere un abito d’alta moda e metterlo in scena così com’è, essendo esso stesso creazione artistica. NO. NO NO NO! Non devo essere amante della moda per essere costumista, devo essere osservatrice delle condizioni sociali intorno a me. Non tutti i personaggi potranno vestire un abito firmato Dior, e, anche se potessero, in teatro lo spettatore più vicino è ad 8 metri almeno dal palcoscenico, quindi non vedrà tutte quelle meravigliose rifiniture. Discorso diverso vale per il cinema, rimane vero però che il costume non è necessariamente un abito alla moda. Esso deve esprimere il personaggio perciò va cucito su di lui. Spesso va sporcato, tinto, anticato, strappato. Sono più le volte in cui i materiali vengono usati al contrario che quelle in cui si usa la stoffa per quella che è.
Tuttavia, nell’olimpo degli stilisti, si ritrovano figure che pur avendo fatto storia nella moda, rispondono perfettamente ad esigenze sceniche specifiche,

Miyake_geometrie

Miyake_bustino
Miyake_costumi

Tra loro Issey Miyake, con il suo plissè e le sue creazioni scultoree! I suoi abiti prendono forma e trasformano la persona in un’installazione vivente. Su un palcoscenico nudo non servirebbe molto altro per creare suggestioni. Ecco, per me è in queste forme che la moda incontra l’architettura e viceversa.
Chissà che lui non abbia osservato le costruzioni di Alvar Aalto, i suoi vasi, per ispirarsi, o di Tadao Ando, altro giapponese come lui. Chissà che non sia semplicemente che sia lo stilista che l’architetto abbiano studiato le forme naturali per ricavarne opere d’arte, come nel caso del mantello Shell di Miyake. Chissà che non sia una sfida alla gravità ed alla statica nella sartoria, come nell’architettura, far mantenere certe dimensioni e curve.

pacalraban

Alvar Aalto

Miyake_origami

Fatto sta che le opere ci sono … come opere di alto artigianato risultano e poco importa che poi Miyake abbia chiamato Frank Gehry per il suo store a Tribeca, New York, per utilizzare le sue famose onde a richiamo del suo plissè miracolosamente piegato, e che ora il legame si legga lì.

Frank Gehry

Tribeca Store

Issey … io lo so! Lo so che ami la geometria e le forme come pochi e so che un tuo abito vive di vita propria come un monumento perenne. Tutte le creazioni degli anni ’80 sono straordinarie nella loro euforia, così come sono come piccole sorprese da scartare i vestiti derivati dal disegno degli origami. Chi è il tuo tagliatore!!!! Chi la tua modista!!!!! Chi?!?

Irving Penn

Miyake Penn

Proprio per queste sue caratteristiche è stato coinvolto in progetti teatrali o nel campo dello spettacolo. Proprio per questi motivi a scattare le fotografie per la campagna pubblicitaria del suo profumo, con i suoi abiti, fu Irving Penn. Ad ogni modo, Issey, io guardo il mio armadio disordinato e pieno, e sono felice di avere un abito plissè ed una camicina azzurra tutta a pieghe che ho comprato per assomigliare a Didone, mentre progettavo lo spettacolo. Senza di te, il mio armadio sarebbe diverso ed i nostri costumi purcelliani anche! Nel mio piccolo ho cercato di onorarti e con questo post spero che tutti arrivando a Tribeca siano euforici perchè possono toccare il tuo plissè, non per farsi una foto sotto la frangia ricurva e spettinata che Gehry ti ha messo davanti allo stabile.

Dido

Tu, Donati, Capucci, tutti gli sconosciuti ideatori di copricapi impervi … voi rappresentate il legame più solido tra moda ed architettura, la curiosità che anima la contaminazione delle arti, il rigore che dirige la capacità tecnica.

Ecco … io cambiando i vestiti nell’armadio penso a queste cose …
E non ditemi che voi non vi vestireste così! Magari non proprio nella shell, ma queste cose io me le metterei ogni giorno!

Enjoy

F.T.

Miyake_sfilata

Lascia un commento